Lo strato di ozono, scudo invisibile che protegge la Terra dai raggi ultravioletti del Sole, si sta gradualmente ricostituendo dopo anni di danni causati dall’uomo. Questo è un successo per la salute umana, perché riduce i rischi legati ai raggi UV. C’è un rovescio della medaglia: il recupero dell’ozono potrebbe far aumentare la temperatura del pianeta più di quanto pensavamo. Secondo studi recenti, questo effetto potrebbe contribuire al riscaldamento globale con un impatto del 40% maggiore rispetto alle stime precedenti, rendendo l’ozono un fattore importante nella crisi climatica.

Buco dell‘ozono, una buona notizia. Immagine generata con AI
Negli anni Ottanta, gli scienziati hanno lanciato un allarme globale: lo strato di ozono, situato tra i 15 e i 35 chilometri di altezza, si stava assottigliando gravemente sopra l’Antartide. Questo fenomeno, chiamato “buco dell’ozono” e descritto per la prima volta nel 1985 su Nature, non era un vero buco, ma una drastica riduzione della molecola di ozono (O3), che blocca i raggi UV dannosi per la vita sulla Terra.Il problema era causato da sostanze chimiche artificiali, soprattutto i clorofluorocarburi (CFC), usati in spray, frigoriferi e materiali isolanti.
Queste sostanze, una volta liberate, salivano nella stratosfera e, sotto l’effetto dei raggi solari, rilasciavano cloro e bromo, distruggendo migliaia di molecole di ozono. Questo processo, studiato nel 1974 dai premi Nobel Mario Molina e F. Sherwood Rowland, si verificava soprattutto in primavera nell’Antartide, creando un’area di deplezione grande quanto il Nord America (circa 25 milioni di chilometri quadrati). Il fenomeno non si limitava all’Antartide: riduzioni minori si registravano anche nell’Artico e nelle zone equatoriali, esponendo milioni di persone a maggiori rischi UV. Ricerche del 2018 su Atmospheric Chemistry and Physics hanno mostrato che il danno si stava estendendo anche alle regioni centrali del pianeta, forse a causa dei cambiamenti climatici.
Il Protocollo di Montreal è stato un successo mondiale
Per affrontare questa crisi, nel 1987 il mondo si è unito con il Protocollo di Montreal, un accordo firmato da 197 paesi per eliminare gradualmente le sostanze dannose per l’ozono, come i CFC, gli idroclorofluorocarburi (HCFC), gli halon e altre. Questo trattato, il più condiviso nella storia ambientale, ha stabilito scadenze precise: i paesi sviluppati hanno bandito i CFC entro il 1996, mentre quelli in via di sviluppo hanno avuto più tempo, con aiuti economici per adottare alternative sicure.
Aggiornamenti successivi, come gli emendamenti di Londra (1990), Copenaghen (1992) e Kigali (2016), hanno ampliato gli obiettivi. In particolare, l’emendamento di Kigali ha puntato a ridurre gli idrofluorocarburi (HFC), sostituti dei CFC che non danneggiano l’ozono ma sono potenti gas serra. I risultati sono impressionanti: secondo l’ONU e la NASA, le sostanze dannose sono diminuite del 99% rispetto agli anni ’90. Il buco di ozono sopra l’Antartide, che nel 2000 copriva 28 milioni di chilometri quadrati, si è ridotto a circa 23 milioni nel 2023, con ulteriori miglioramenti nel 2024. Gli esperti prevedono che l’ozono tornerà ai livelli del 1980 entro il 2040 in gran parte del mondo, il 2045 nell’Artico e il 2066 in Antartide. Questo successo ha evitato un aumento del 20-30% dell’esposizione ai raggi UV e ha limitato il riscaldamento globale di circa 0,5-1°C entro il 2100.
Eppure stiamo inglobando calore, perché?
Nonostante i progressi, c’è un problema inaspettato: il recupero dell’ozono sta contribuendo a riscaldare il pianeta. L’ozono nella stratosfera, oltre a bloccare i raggi UV, agisce come un gas serra, trattenendo il calore terrestre. Quando lo strato di ozono era danneggiato, questo effetto era ridotto, ma ora che si sta ricostituendo, il calore intrappolato aumenta. Uno studio del 2025 dell’Università di Reading, pubblicato su Atmospheric Chemistry and Physics, ha usato modelli al computer per prevedere cosa accadrà entro il 2050, ipotizzando la scomparsa di CFC e HCFC ma un aumento dell’inquinamento atmosferico.I risultati sono preoccupanti: l’ozono potrebbe intrappolare 0,27 watt di calore per metro quadrato, un valore del 40% più alto di quanto stimato in precedenza, rendendolo il secondo fattore di riscaldamento globale dopo l’anidride carbonica (che produce 1,75 watt per metro quadrato). Questo accade perché il recupero dell’ozono stratosferico permette a più raggi UV di raggiungere lo strato inferiore dell’atmosfera, dove si forma ozono troposferico, un gas serra prodotto da reazioni chimiche con inquinanti come ossidi di azoto e composti organici volatili, emessi da auto, industrie e incendi. Inoltre, il riscaldamento globale espande lo strato inferiore dell’atmosfera, influenzando l’ozono e amplificando il problema.
Il recupero dell’ozono è fondamentale per la salute: l’esposizione ai raggi UV causa circa 2 milioni di casi di cancro alla pelle e altri problemi ogni anno, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Entro il 2050, il miglioramento dello strato di ozono ridurrà questi rischi del 20-30%, proteggendo anche animali e piante, come il krill antartico e il plancton, essenziali per gli ecosistemi. Senza il Protocollo di Montreal, la perdita di ozono avrebbe danneggiato la fotosintesi, riducendo i raccolti agricoli del 5-10% nelle zone tropicali e aumentando il riscaldamento di 0,85°C entro il 2100.
L’ozono troposferico prodotto come effetto collaterale peggiora l’inquinamento, causando problemi respiratori e contribuendo all’acidificazione degli oceani.
Di certo non dobbiamo “riaprire” il buco: i benefici per la salute e l’ambiente sono troppo importanti, e il Protocollo di Montreal deve restare in vigore. Gli scienziati, come il professor Bill Collins, chiedono di aggiornare le strategie contro il cambiamento climatico.
Monitorare l’atmosfera con satelliti e evitare soluzioni rischiose, come la geoingegneria, sarà cruciale per bilanciare la protezione dell’ozono con la lotta al riscaldamento globale. Un successo ambientale che ci deve tuttavia ricordare che ogni soluzione ha conseguenze: dobbiamo agire con attenzione per non trasformare una vittoria in una nuova sfida per il pianeta.